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LA MORTE DI UN FIGLIO RACCONTATA DAL PADRE


corpo a terra
credits foto Motortion Istock

La morte di un figlio raccontata dal padre. Il dramma di una famiglia come tante.


Cosa dovrei raccontarti? È pressoché inutile che ti descriva il luogo dell'incidente, non servirebbe, anche perché non conosci le zone e comunque cambierebbe veramente poco.

Ti dico che la Citroen C3 dove mio figlio viaggiava come passeggero era irriconoscibile.

Il motore era finito in mezzo ad un campo di verze, le ruote erano rotolate in mezzo alla strada trascinando con loro gli ammortizzatori, i semiassi erano piegati e pezzi di motore e parti meccaniche erano buttati un po' ovunque.

L'abitacolo era contorto su se stesso, era pressato come una fisarmonica, tutta la lunghezza della macchina 3,98 m. si era ridotta ad un metro e cinquanta o poco più. Dopo l'impatto si era incendiata e solo per un miracolo la bombola del GPL non è esplosa; sai dicono che sono sicure, ma non è la prima volta che la valvola di sfogo si blocca e scoppia il serbatoio, la chiamano ciambella.

Gennaro era alla guida, era amico di mio figlio da quando andavano alle elementari. Lui è morto subito, non portava le cinture e dopo l'impatto contro il muro di uno stabilimento chiuso da tempo, fu ritrovato 34 metri più avanti sopra la cancellata di una casa.

Martino, mio figlio, rimase incastrato tra le lamiere. Anche lui non portava le cinture e comunque avrebbero fatto gran poco, credimi.

Alle 4.30 della mattina sentii suonare il campanello di casa, mi venne subito la tachicardia mentre mia moglie Giuliana d'istinto chiamò il nome di Martino.

Mi alzai di scatto e senza preoccuparmi di essere vestito solo con i boxer corsi verso la porta, apri con uno velocità tale che sorpresi persino i due carabinieri che si trovavano davanti l'uscio.

Sentii una fitta fortissima allo stomaco e quasi mi venne un connato di vomito. Non avevano neppure detto una parola, ma dentro di me era già tutto chiaro, mia moglie rimase in silenzio, mi pose una mano sulla spalla e la sentii tramare così forte da riuscire a scuotermi.

Non ricordo cosa dissi di preciso, farfugliai qualcosa e non so neppure se mi compresero o se fecero solo finta di avermi capito vedendomi in quello stato.

Martino non lo rividi più, mi chiesero di riconoscere un orologio, un braccialetto di cuoio con inciso il nome della sua ragazza Mirella e poco altro ancora. Quando insistetti per vederlo mi si avvicinò un medico e molto umanamente mi disse «Lo faccio per voi...non potreste riconoscerlo, non è più il Martino che ricordavate.» Quelle parole mi uccisero, annientarono le nostre vite, distrussero la nostra quotidianità, separarono definitivamente il prima dal dopo e ogni oggetto rumore, odore, sembrava non essere più lo stesso.

Martino aveva 24 anni e una sera mentre era seduto in poltrona disse una frase che con il senno del poi mi fa venire i brividi ogni volta che ci ripenso. Quella sera mi disse «Papà io vi voglio bene, ma ho bisogno di vivere la mia libertà. Non mi piace che ogni volta che esco tu e mamma siate in apprensione, mi fate vivere male così. Ti prometto che, se mai dovesse capitarmi qualcosa, chiederò a DIO di farmi stare accanto a voi.» Poi scoppiò in una risata e aggiunse «Cazzo! Che minchiata che ho detto!» Quattro giorni dopo Dio lo ascoltò, lo volle con sé portandolo via a noi, io però ogni giorno della mia vita lo sento accanto a me.

carabinieri
carabinieri credits immagine Istock

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