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Francesco Carè

Mi chiamo Francesco Carè sono nato il 21 giugno 1966 in provincia di Verona dove vivo tutt'ora.

Nel 1989 mi sono avvicinato al mondo del volontariato, dapprima di Protezione Civile per un breve periodo per passare poi, nei primi anni 90, al servizio di soccorso su ambulanza sempre come volontario.

Sono stato autista soccorritore per oltre 25 anni rivestendo questo ruolo anche in qualità di dipendente presso alcune realtà di Verona e provincia, tutte nel settore del trasporto ed urgenza-emergenza extraospedaliera. 

Nel 2020 ho lasciato definitivamente il servizio operativo e dopo alcuni anni mi sono dedicato alla divulgazione della prevenzione degli incidenti stradali. 

Francesco Carè

Raccontarsi in prima persona non sempre è semplice. Di se stessi si conosce tutto, pregi e difetti. Il difficile consiste nell’essere obbiettivi, non bisogna troppo considerarsi né troppo svilirsi. 

Devi raccontarti, guardandoti e ascoltandoti interiormente, pensando a te come gli altri ti vedono e ti ascoltano, accettando anche le critiche più fastidiose, quelle che non vorresti mai sentire e che fatichi a riconoscerti. 
Ma se vuoi essere cristallino devi accogliere questo confronto, non puoi raccontarti e raccontare bugie. Imparare ad essere leale in primis verso te stesso, perché solo così potrai essere autentico con gli altri.

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Le domande più frequenti

Senza dilungarmi troppo nel mio vissuto da soccorritore elenco di seguito le domande che più spesso mi sono state rivolte completando il tutto con le risposte che ho sempre dato ad ogni occasione.

D) Perché hai iniziato il percorso di volontario nel soccorso con ambulanza?

R) È stata una pura casualità. Alcuni amici della mia compagnia che frequentavo all'epoca, avevano proposto di fare un corso di primo soccorso; un'esperienza per esclusiva conoscenza personale, nessuno di noi voleva finalizzarla con il servizio effettivo in ambulanza. Evidentemente non andò a finire così; io mi ritrovai per oltre 25 anni a fare l'autista soccorritore, mentre una buona parte dei miei amici sono tutt'ora operativi. 

D) Hai mai avuto ripensamenti al riguardo? Ti sei mai chiesto se avevi scelto la strada o l'esperienza giusta?

R) Se dovessi contare le volte che ho avuto tentennamenti penso mi dovrei acquistare una calcolatrice. Ovviamente questi episodi si sono verificati quasi tutti nei primi mesi di servizio. Non comprendevo come cavolo mi era passato per la mente di avvicinarmi ad una realtà simile. Bisogna pensare che all'età di 12/14 anni se vedevo uno tagliarsi mentre si radeva la barba io svenivo, immaginate che trasformazione c'è stata poi negli anni. Comunque sì, ci sono stati e credo sia del tutto normale, ho avuto però al mio fianco colleghi che mi hanno supportato e aiutato a superare queste difficoltà.

D) Qual è stato il momento più difficile che ricordi di aver affrontato durante un soccorso?

 

R) Credo di averne parecchi in testa, ma il peggio che io ricordo e che ancora adesso fatico ad affrontare nei miei racconti è stato un incidente stradale in provincia di Verona negli anni 90 se non mi sbaglio credo fosse il 1995. Il tutto era accaduto su una strada che da Zevio (VR) conduceva a Bovolone (VR) passando per paesini dai nomi inconsueti: Volon - Palù - Oppeano e altri che adesso non rammento.

Un'autovettura che ci procedeva, aveva tentato di superare un trattore agricolo, trainante un rimorchio carico di legname, lungo uno dei pochi tratti rettilinei di quelle località. Giunto in prossimità di una curva molto impegnativa, il conducente dell'automobile ormai lanciato in velocità, si ritrovò davanti un camion cisterna che trasportava latte. L'impatto inevitabile fu realmente devastante. L'auto dopo il frontale rimbalzò indietro come una palla. L'avantreno era totalmente devastato e il conducente che, ovviamente in quegli anni non era assicurato con le cinture di sicurezza, era per metà del corpo riverso su quanto rimaneva del cofano e del motore. Praticamente era stato sparato fuori dal parabrezza in frantumi, rimanendo poi incastrato con il bacino e le gambe tra il seggiolino e il cruscotto. Inutile dirvi che ci fermammo subito per prestare soccorso, ma ci rendemmo conto che era tutto inutile. Materia cerebrale quasi integra fuoriusciva da un ampio squarcio laterale al cranio; ciò che invece mi impressionò fu il volto...era disintegrato e l'occhio destro, intendo proprio tutto il bulbo oculare, era a penzoloni. Mi rimase impressa la pupilla, era dilatatissima, sembrava quasi che potesse ancora guardarmi in faccia. Quello fu un momento non semplice, forse il tutto divenne maggiormente amplificato nella mia mente perché l'incidente ci capitò davanti in modo del tutto inatteso.

D) Hai terminato il tuo servizio operativo nel marzo del 2016, almeno tu riconduci il tuo stop a questa data, anche se poi comunque sporadicamente hai proseguito fino al 2020, l'anno della pandemia. Cosa ti ha portato a smettere definitivamente?

R)  Questa è la risposta più semplice. Ero stanco della sofferenza, della morte, degli ospedali. Insomma ero diventato refrattario a tutto ciò che riguardava quell'ambiente che per tanti anni era stata la mia seconda casa. Volevo ritornare ad una vita per così dire "normale" anche se poi con il tempo mi sono dovuto rendere conto che non era possibile. Tutto ciò che avevo vissuto mi si era cucito addosso come una seconda pelle, era diventata parte di me stesso e non avrei potuto certo cancellare tutto con un colpo di spugna. È stato ed è tutt'ora un percorso difficile, non faccio parte di quelli che dicono "a me non ha lasciato alcun strascico" non è così. Per quanto mi riguarda ci credo poco in coloro che si professano insensibili o indifferenti, credo che prima o poi ad ognuno viene presentato il proprio conto e talvolta è assai salato da pagare. Ognuno reagisce in modo diverso, questo è vero, ma con il tempo i propri fantasmi si palesano e allora diventa un problema serio scacciarli, sempre ammesso poi che ci sia anche qualcuno che invece se li vuole tenere ben stretti.

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